Intervista Lellaprofile

#tenimmocestreet

// Lellaprofile //

Creatrice delle SDA,
Raffaella Garritano è una scrupolosa ricercatrice
di tutte le curiosità e le chicche
della storia dell’arte

<< Quando penso al mio lavoro rifletto spesso
sulla frase di André Malraux
« La culture ne s’hérite pas, elle se conquiert »,
« La cultura non si eredita, si conquista ».
Voglio credere di poter guidare le persone in questa
silenziosa e personalissima conquista,
una storia alla volta. >>

Oggi incontriamo Raffaella Garritano conosciuta come Lella, laureata in archeologia e storia dell’arte e che attualmente si occupa di comunicazione culturale in digitale. La sua pagina Instagram @lellaprofile è una rubrica che racconta la storia dell’arte in maniera decisamente non convenzionale. Bastano 15 secondi per imparare qualcosa di nuovo e riempirsi gli occhi di bellezza. 

Quando hai capito di voler lanciare le SDA (stories dell’arte) ?

Lellaprofile era il mio profilo instagram personale che avevo aperto nel 2014, l’idea poi di trasformarlo in qualcosa di diverso è arrivata successivamente, in seguito ad una serie di eventi che avevano creato in me l’esigenza di svagarmi un pò e di raccontare alcune cose.

Ricordo che una delle primissime stories che feci era sulla copertina di un album dei New Order, poi ho trattato vari temi, pian piano il profilo è cresciuto e così ho cominciato a veicolare maggiormente contenuti culturali piuttosto che cose della mia vita. 

Se c’è una mission dietro questo profilo è quella di dare un approccio molto democratico. Mi piace l’idea che si possa accedere a questo tipo di contenuti mentre si è in tram, mentre si sta andando al lavoro, facendo una pausa o si sta bevendo un caffè. Per me è questa la cosa principale del profilo. Le sda (stories dell’arte) non servono ad insegnare qualcosa, perché non si può insegnare in così poco tempo qualcosa, ma hanno la grande aspirazione di appassionare le persone ad una cosa e, nel caso, approfondirla.

Raccontaci del tuo rapporto con la città di Napoli

Io mi sento una grandissima figlia adottiva della città di Napoli, nel senso che lì poi ho lasciato un pò tutto; i miei amici adesso sono lì e questa è una città che mi ha dato tantissimo, a livello affettivo, a livello sentimentale e proprio di cultura personale. 

Mi sono trasferita a Napoli per l’università e come per tutte le persone che si trasferiscono in una nuova città, c’è sempre uno scarto molto forte. Ricorderò per sempre il mio primo anno a Napoli come uno degli anni più belli perché era una città che non mi aspettavo, che mi ha aiutato tanto ad aprirmi come persona e che mi ha insegnato un tipo di approccio con le persone totalmente differente.

Se dovessi mettere al primo posto la cosa più preziosa che ho imparato, forse è stata quella di non fermarmi mai alle apparenze e di riuscire a capire che le cose sono sempre più complesse di quelle che appaiono in realtà.

Tutte le grandi città, le metropoli, hanno una dicotomia, delle contraddizioni, però credo che Napoli riesca ad avere, tutto sommato, un rapporto abbastanza sereno con questo contrasto fortissimo e a farne un punto contraddistintivo.
Credo che sia assolutamente una delle cose che mi ha più spiazzata e che comunque mi ha dato qualcosa di forte nel mio bagaglio.

C’è una frase molto bella di Italo Calvino che dice che “D’una città non godi le sette o le settantasette meraviglie, ma la risposta che dà a una tua domanda.” Quando ho letto questa frase ho pensato subito al tempo che io ho trascorso in questa città perché, effettivamente, al di là di tutto quello che ho visto, di quello che ho provato e delle esperienze che ho fatto, resta nel mio vissuto qualcosa di molto forte legato alla città e a tutte le contraddizioni che ha, tutte quante.

Di Napoli si parla molto spesso anche del suo essere così ospitale, del suo essere accogliente. C’è sempre questa grande relatività che si avverte fortissimo, soprattutto in alcune zone della città. Il tuo vicino potrebbe tranquillamente avere con te un rapporto più stretto di un parente e questa è sicuramente una delle cose belle, una marcia in più, una cifra contraddistintiva delle persone che vivono in questa città, anche se non sono di Napoli. Una grande accoglienza quindi, ma anche una grande attitudine ad aiutare le altre persone. Io mi sono trasferita tante volte, ho cambiato molte volte case come molte persone che vivono al centro di Napoli e ho sempre incontrato persone che non mi conoscevano per strada e che mi hanno chiesto se volevo una mano. Io non credo che questo sia una cosa scontata, in nessun caso. 

prodotto box

Perchè hai deciso di prendere parte al progetto Tenimmoce Street?

Io aspettavo un progetto del genere perchè negli ultimi tempi quando il profilo è cresciuto, quando ho iniziato a collaborare con altre persone, reputavo quasi un pò triste che non ero ancora riuscita a trovare l’occasione adatta per poter fare qualcosa che riguardasse Napoli, che potesse finalmente farmi parlare di questa città.

Per me Tenimmoce Street è una bellissima occasione perché è un progetto che parte da Napoli ma non è fatto per rimanere a Napoli.
Mi piace l’idea che non sia statico ma che sia fatto per portare Napoli altrove, a chi ne ha bisogno o a chi vorrebbe conoscerla. Uno dei miei artisti preferiti è stato Lucio Dalla, lui non era napoletano ma bolognese però è un altro figlio adottivo di Napoli, nel senso che lui in questa città ha passato gran parte della sua vita. Ci sono delle interviste, molto carine, in cui lui dice che non può fare a meno di pensare a Napoli almeno una volta al giorno, che se esistesse almeno una puntura con tutta la napoletaneità che c’è, lui la farebbe.

Mi piaceva quindi l’idea di poter creare qualcosa per le persone che almeno una volta al giorno non riescono a fare a meno di pensare a Napoli o che vorrebbero vederla ma in questo momento non possono.

Quanto è importante per te la collaborazione?

Sicuramente questa per me è una collaborazione importante perché ha quasi un incidenza sul livello affettivo. Quando il profilo ha cominciato a crescere non mi sono mai posta il problema di: “in che direzione devo andare, o cosa dovevo fare, con chi dovevo collaborare” però mi sono imposta di dare dei no da subito alle cose che non ritenevo conformi con me, con la mia persona. 

Credo che una persona che stia dietro un profilo culturale, o comunque un profilo come il mio abbia anche un’attimo l’imperativo categorico di far capire che la cultura non è una cosa immateriale, intangibile, oppure qualcosa su cui ci debba essere una sorta di alone di: “questa cosa è culturale quindi non si sposa con determinati tipi di cose”, perchè fino a quando noi avremo questo tipo di approccio alla cultura, la vedremo sempre come qualcosa che è messa lì e che va avanti da sola, che campa d’aria,  mentre invece non è così. Io credo che a volte ci sia un pò di spocchiosità su queste cose, non è un caso che questa mini collezione che io ho preparato per la box, l’abbia intitolata, anche un pò provocatoriamente,  “Napoli Nobilissima”.

Sicuramente quindi questa collaborazione è importante perché per la prima volta mi da l’opportunità di esprimere qualcosa totalmente di mio; un punto di vista strettamente personale unito anche ad un oggettività che io poi cerco di dare nella maniera più chiara possibile. 

Quale parte di Lellaprofile ti piacerebbe che uscisse fuori con queste box edizione limitata?

Come ho accennato anche prima possiamo partire dal titolo, un pò provocatorio, di questa collezione che ho deciso di inserire nella box. 

Napoli Nobilissima è il titolo di una guida di Domenico Antonio Parrino che inaugura il 1700. Una guida di Napoli molto importante con cui chiunque faccia una ricerca su Napoli, si confronta presto o tardi. Questo nome quindi non solo è altisonante, roboante, per questa guida del 1700, ma addirittura poi nella fine dell’800, lo stesso nome è stato ripreso da Benedetto Croce che ne ha fatto un’importantissima rivista culturale, che ancora oggi viene stampata e che è assolutamente una rivista di addetti ai lavori.

Mi piaceva dunque l’idea di dare questo nome, che a qualcuno magari suonerà qualcosa di estremamente, appunto, per addetti ai lavori, ad una collezione di 10 quadretti, che sono quelli classici, che si trovano in tutte le case, io ne ho piena la stanza, fatte con gli scampoli delle cornici dei corniciai. Mi piaceva l’idea che queste due cose “cozzassero” insieme, come succede a volte anche con le realtà di Napoli.

Questi quadretti poi sono tutti realizzati con scampoli presi dallo stesso corniciaio da cui io vado da quando ero piccola, quindi mi piaceva molto l’idea che magari lo stesso scampolo di cornice sia contemporaneamente in casa mia e nella casa magari di una persona lontanissima da me, che non mi conosce ma con cui da oggi, forse, avrò qualcosa in comune.

In questi quadretti è legata anche tanta parte della mia storia e mi piace che questo dato possa fondersi poi con il progetto in generale.  Quello che voglio che arrivi è la persona dietro il profilo, raccontata attraverso la familiarità di questi quadretti che mi hanno accompagnata per tanto tempo.

Il motto di Lellaprofile

Il motto principale è quello del ludendo docere. Penso sempre che qualcosa si possa imparare divertendosi perchè davvero credo che la cultura sia un dato che non ci abbandona mai e penso che quando si impara qualcosa poi è una cosa che portiamo dietro sempre. 

C’è questa frase bellissima che dice che la cultura è quello che rimane quando si è dimenticato tutto, è qualcosa che fa parte di noi. Alla fine penso che bisogna sempre trovare un modo per imparare qualcosa o per appassionare gli altri ad imparare qualcosa.

Ci sono anche altre frasi ricorrenti che io utilizzo come: la storia dell’arte è la nostra storia, ci sono degli hashtag che ho lanciato con il profilo come #inartwetrust proprio come “credo” e penso che bisogna darsi dei credi nella vita, sicuramente quello di imparare qualcosa, o comunque di cercare di allargare i propri orizzonti come obiettivi da prefiggerci sempre. Pensare soprattutto che quando noi impariamo qualcosa non impariamo mai solo quella cosa ma è un processo che si innesca, un dato che poi un giorno ti ritorna in mente e cominci a fare delle connessioni e ti mette in condizione di poter spaziare nella tua mente con diversi tipi di cose, confrontarle. Per me è quella la cosa più importante

Una parola che dobbiamo sempre portare con noi e che può aiutare ad orientarci

Mi sento di rispondervi con la parola credere

Scelgo questa parola perché quando è cominciato il lockdown io mi trovavo in un punto della mia vita in cui stava cambiando tutto, mi ero trasferita, stavo per scrivere la tesi, ero sul punto di realizzare tutta una serie di cose in cui io credevo e poi ho attraversato un periodo molto brutto perchè mi sembrava di non crederci più e devo dire che quando me ne sono resa conto, mi sono sentita davvero molto triste.

La parola che io voglio portare con me è quindi  “credere” e voglio portarla con me nel 2021 ma anche nel 2022, nel 2023 per non perdere mai la capacità di poter pensare di riuscire a fare qualcosa. Sono sicura che molte persone come me, e ne sono sicura perché poi ho parlato con tanti miei amici e tutti noi stavamo facendo qualcosa, siamo diventati un lago nella quale ristagnano delle cose che “dovevamo”, “potevamo” , “dovremo”, “potremo”, “faremo”, prima o poi.

Penso che ora non basti più portarsi dei sogni dietro perché poi magari i sogni possono rimanere anche così, un pò chiusi nei cassetti vista anche la grande influenza negativa che stiamo avendo in questo momento, determinata dal periodo storico. La parola “credere” mi restituisce più l’ispirazione di poter pensare a qualcosa per riuscire a realizzarla, ad ottenerla, proprio a livello di credo, di credere in noi stessi ma anche negli altri, in quello che può succedere ancora di buono e quello che vogliamo fare. Credere nel senso di riuscire a fare qualcosa, di pensarla e volerla intensamente finché uno non riesce.  Ho scelto questa parola perché ha anche una forza maggiore, un certo che di misticismo, di religione, di assolutismo, si può credere anche ad una cosa per partito preso, anche senza prove formali, evidenti. C’è una frase che è stata un’illuminazione per me, una frase scritta a pennarello su un muro di Parigi, l’ho letta nel 2019, non avrei mai potuto pensare che l’avrei riletta così sentitamente di nuovo poi nel 2020, e la frase diceva: credere che la vita è bella un pò come si crede in Dio, cioè senza alcuna prova formale.

Ecco, questa è la parola che secondo me, non possiamo prescindere di portare con noi.

Lo immaginiamo,
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